El Alamein

Ieri 12 giugno ho seguito la parte finale di una puntata del programma di storia curato da Paolo Mieli (appunto su Rai Storia) dedicata alla battaglia di El Alamein, che ebbe luogo nell'autunno del 1942 tra il mare Mediterraneo a nord, il deserto a sud, l'Egitto a est, la Libia a ovest. La combatterono da una parte italiani e tedeschi, dall'altra inglesi e corpi militari tratti dal vasto impero britannico. Fu vinta dagli inglesi. 

Alla puntata partecipava il professore universitario di Storia  Alessandro Barbero, un sessantenne del quale non so la specialità accademica, ma quella, entusiastica,  di far spesso, nel parlare, un movimento del braccio che a me ricorda lo strappo che un viaggiatore allarmato può dare al freno d'emergenza, in treno. Per essere un docente universitario il Barbero non è un personaggio spiacevole.

Ho letto qualche libro sulla battaglia di El Alamein per cui posso dire di esserne almeno incompetente. Certo ne sono tifoso fino alle lacrime, non so bene perché. 

Gli inglesi e i loro accoliti imperiali avevano più forza militare dei nostri, per cui vinsero la battaglia. Però i nostri si batterono bene, per la patria, per il re, per Mussolini, e forse per qualche altro motivo che mi sfugge. 

Sia Mieli che Barbero hanno rimarcato che i nostri "stavano dalla parte sbagliata". La parte dello svastica (trattasi di sostantivo maschile). Gli altri stavano però dalla parte dell'oro.

Mieli ha detto che se italiani e tedeschi avessero vinto e fossero arrivati ad Alessandria d'Egitto sarebbero stati dolori per gli ebrei residenti in quella città e lui, "figlio di ebrei" del posto, magari "non sarebbe nato".

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