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Visualizzazione dei post da marzo, 2019

Curzio Malaparte: nostalgia della comunità e mitopoiesi

Ho trovato una vecchia edizione (Vallecchi) di  Maledetti toscani , testo ripubblicato un paio di anni fa da Adelphi. La soggettività di Curzio Malaparte si applica ai nativi della Toscana, agli usi e costumi della Toscana, ed al paesaggio, incluso il paesaggio urbano toscano .  Malaparte parla certo di qualcosa che ha dentro di sé: il senso della comunità toscana, della differenza toscana, come le altre già ai tempi dell'uscita del libro in via di annientamento.  Maledetti toscani  costituisce una curiosità poetica, polemica, nostalgica, retorica, ed è inerente ad un mito . Riflettendo sull'ipotesi che in questione, nel libro, sia il mito , propongo che Malaparte abbia messo in atto una sorta di mitopoiesi - nel senso che i toscani sarebbero visti come una sorta di "popolo eletto", e sia pure entro il recinto della "maledizione". Il fondamento del libro è dunque il senso della comunità vista attraverso la lente del mito.

Memorie di una geisha - transito nella "valle oscura".

Memorie di una geisha di Arthur Golden è un lungo testo che probabilmente corrisponde a esperienze vissute e raccontate da una donna giapponese all'autore.  La finzione espone però una scena di questo tipo: una anziana geisha trasferitasi da tempo a New York narra la storia della sua vita a un accademico, conoscitore americano della cultura giapponese. Ciò implica che il testo proceda in prima persona.  In breve: una graziosa bambina proletaria che vive con la sorella, la madre, malata, e il padre, anziano, in un piccolo centro di pescatori, è venduta a un commerciante che, insieme alla sorella, la conduce a Kyoto e la rivende a una sorta di maitresse che gestisce una casa dove si istruiscono geishe. La sorella della protagonista, meno avvenente, viene avviata senz'altro alla prostituzione. Le due bambine si rivedranno solo in un'occasione. Poi, mai più. Nei primi anni la protagonista fa la servetta nella casa, successivamente, grazie alla sua avvenenza e alla particol

Lucida Mansi

Lucida Mansi visse nella realtà del 17° secolo gran parte della sua esistenza a Lucca, dove morì a quarantatré anni colpita dalla peste, evento all'epoca tutt'altro che raro. Nella leggenda continua, certo a sprazzi, a vivere come donna di bellezza straordinaria e di spigliata vivacità erotica, sterminatrice di cuori e corpi maschili - indifferente alle piccinerie bigotte. Segnalo qui che nel suo romanzo Il passo dei Longobardi Arrigo Benedetti dedica il settimo capitolo della seconda parte a Lucida, seguendone la storia dall'infanzia alla morte. Benedetti, che anche ne Il ballo angelico propone suggestioni gustose circa le credenze religiose e superstiziose fiorenti in Lucchesia, qui accoglie la leggenda che vuole Lucida eternamente giovane nonostante il trascorrere degli anni per aver lei patteggiato con Satana; novella Giocasta, tuttavia, Lucida si unisce senza averne coscienza con un suo figlio dimenticato, così perdendo in una notte sola il privilegio dell'eterna