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Visualizzazione dei post da settembre, 2012
La lettera che il noto Lavitola avrebbe scritto a Berlusconi, pubblicata ieri 29 settembre su La Stampa e certo da altri giornali, non contiene solo riferimenti precisi a parlamentari pagati da Lavitola con lo scopo di toglierli alla maggioranza di centrosinistra per far cadere il governo Prodi, né solo riferimenti alla costruzione di un caso di malaffare (la "casa di Montecarlo") con lo scopo di danneggiare Gianfranco Fini, né altri spunti che permettono, se autentici, di indovinare che con Berlusconi Lavitola aveva un rapporto di genere manzoniano (come quello tra il "Griso" e Don Rodrigo), ma presenta anche una serie di strafalcioni ortografici. E' un fatto che sempre più spesso, quando si entra in contatto con quest'intimità di una persona (la sua scrittura), troviamo lo squallore dell'incapacità di comporre una lettera, uno scritto qualsiasi, senza che la lingua italiana ne esca danneggiata. L'autore ne risulta, agli occhi di chi ama la lingua
Com'è che mi han fatto optare per un dipartimento che sarà operativo dal 1 gennaio 2013, nonostante che fosse acclarato che dal 1 novembre 2012 sono in pensione, ed oggi tuttavia non posso votare per eleggere il direttore del dipartimento, non sono previsto, non sto nell'elenco degli aventi diritto? Una perversione burocratica. N.B. Non avrei certo votato il "candidato unico", avrei tracciato un qualche soave sberleffo.
Il linguaggio parlato, in misura minore quello scritto, ha una caratteristica fuori dell'ordinario, quella di "funzionare" a dispetto degli strafalcioni (grammatica, sintassi, ortografia) che in esso vengono disseminati, ciò significa che mentre gli errori in altri campi sono decisivi ai fini del fallimento di quel che si opera, nel campo del parlato, ma anche dello scritto, gli errori non sono decisivi se non in fatto di chiarezza e bellezza. E' per questo motivo che l'italiano non è curato come secondo noi dovrebbe essere, nella scuola? Perché è una roccia?
Prendiamola così, per una volta: quando si parla di scuola bisogna sforzarsi di considerarne anche le caratteristiche materiali, concrete, visibili, non soltanto i significati, che solo pochi vedono. Dunque, ecco un preciso istituto superiore sito in una nota ed antica città, con sede in una piazza piuttosto luminosa e dotata di visibilità artistica, visitata da migliaia di turisti. Il portone d'ingresso dell'istituto, che tra l'altro reca nella sua denominazione il termine "arte", è consumato e stinto, piccolo, ridicolo e sporco, al suo interno s'intravede, transitando per la piazza, una sorta di parete posticcia grigia di metallo, talvolta un sacco nero d'immondizia in attesa, l'ingresso sul vicolo del retro (cucina o altro) d'una trattoria trascurata probabilmente farebbe un effetto meno squallido e disordinato. I NAS incomberebbero, la trattoria sarebbe chiusa velocemente. L'istituto resta invece aperto, perché in realtà è un "servizio
Ieri Rainews ha trasmesso un lungo discorso di Umberto Eco sull'università. Il celebre studioso e romanziere ha in un certo senso (il suo) difeso quei sistemi di reclutamento dei professori che sono oggetto di critica: la cosiddetta cooptazione secondo Eco è un diritto esercitato da chi è in cattedra allo scopo di scegliere docenti adatti ai bisogni specifici di una certa facoltà, non importa che il vincitore di un concorso sopravanzi altri concorrenti più dotati in fatto di titoli. Tradotto in italiano: i professori universitari fanno quello che vogliono. Ha ribaltato l'argomento che si usa per contestare la validità di alcuni concorsi, cioè che si conoscano in anticipo i nomi dei vincitori, sostenendo che tale preconoscenza dipende dalla fama dei futuri vincitori. Abile Eco, ma fallace argomentatore, avvocato e retore d'una causa disperata. Ha distinto il favoritismo presente in certe facoltà (Medicina, per esempio), portatore di vantaggi economici ai vincitori (futuri